Il regista di Popiełuszko, Rafał Wieczyński, in tour in Italia

pubblicato il 22 aprile 2010

Rafał Wieczyński, regista del film Popiełuszko. Non si può uccidere la speranza sulla vita del sacerdote martire di Solidarność, sarà in Italia dal 26 al 30 aprile, invitato dall’Associazione Sentieri del Cinema di Milano e dall’Associazione Stalker di Rimini, per un tour di 5 date nelle città di Pescara, Roma, Milano, Bologna e Castel Bolognese.

Popieluszko_Walesa

Danzica. Padre Jerzy a colloquio con Lech Wałesa nella chiesa di Santa Brigida. Foto archivio “Centro Karta”.

Il 19 ottobre 1984 veniva rapito e ucciso da tre agenti dei servizi segreti polacchi padre Jerzy Popiełuszko, giovane sacerdote che nell’agosto 1980  era stato inviato dal cardinal Wyszyński tra gli operai in sciopero nei cantieri siderurgici di Varsavia fino a diventare uno dei sacerdoti più legati a Solidarność, di cui quest’anno ricorre il 30° anniversario della nascita. Pochi mesi dopo la proclamazione dello stato di guerra (13 dicembre 1981), padre Popiełuszko, d’intesa col parroco della chiesa di San Stanislao Kostka, diede vita alle Messe per la patria, alle quali ben presto cominciarono a partecipare migliaia di persone, attirate da un annuncio che evidenziava la dignità della persona, da cui scaturivano diritti inalienabili. Il suo era un costante appello a vivere nella verità e a vincere il male con il bene. Quasi subito le autorità cominciarono a temere la sua influenza e ne ostacolarono in diversi modi l’attività, con interrogatori, arresti, forme intimidatorie. Invano. Per questo fu decisa la sua eliminazione fisica.

Varsavia, 3 novembre 1984. Il funerale di padre Jerzy. Foto Chris Niedenthal.

Popieluszko_libro_itacaAlla figura di padre Popiełuszko, che il prossimo 6 giugno a Varsavia sarà proclamato beato, la casa editrice Itaca ha dedicato il volume Popiełuszko. “Non si può uccidere la speranza” , a cura di Annalia Guglielmi, che riporta alcune delle sue omelie pronunciate in occasione delle Messe per la patria e un’ampia intervista al regista Rafał Wieczyński, che il 30 aprile concluderà a Castel Bolognese un ciclo di incontri in Italia per fare conoscere l’eccezionale figura di questo sacerdote che, come disse Giovanni Paolo II, «ha dato la vita per noi», per sostenere la speranza del suo popolo.

Ecco gli appuntamenti:

  • lunedì 26 aprile, ore 21 Pescara, Cinema Circus (via Lanciano 9)Incontro con Rafał Wieczyński, regista del film Popiełuszko. Non si può uccidere la speranza, e con la produttrice Julita Świercz Wieczyńska
    A cura di: Fondazione Cantiere Abruzzo
  • martedì 27 aprile Roma, Centro Internazionale di Comunione e Liberazione (via Malpighi 2)
    ore 18.30
    Proiezione del film Popiełuszko. Non si può uccidere la speranza
    ore 21.30
    Dialogo con il regista Rafał Wieczyński
    A cura di: Centro Culturale di Roma
  • giovedì 29 aprile, ore 20 Bologna, Cinema Galleria (via Matteotti 25)
    Proiezione del film Popiełuszko. Non si può uccidere la speranza
    con presentazione del regista Rafał Wieczyński
    A cura di: Centro Culturale “E. Manfredini”

    In collaborazione con: Cineteca del Comune di Bologna

Il film di Rafał Wieczyński è stato presentato in Italia durante l’ultimo Festival Internazionale del Cinema di Roma. Dopo quella proiezione il film, come spesso accade per opere che indagano fatti storici “scomodi” (si pensi alla sorte analoga di Katyn, del maestro Andrzej Wajda), ha avuto una vita distributiva travagliata ed è uscito in pochissime sale.

Il regista polacco, Rafał Wieczyński, durante la lavorazione del film

Riportiamo uno stralcio dell’intervista al regista Rafał Wieczyński contenuta nel libro Popieluszko. “Non si può uccidere la speranza” (ed. Itaca).

D. Perché ha deciso di fare un film su padre Popiełuszko?

R. Era dal 1989 che aspettavo un film su Solidarność e su di lui. Mi sembrava ovvio. Ma, dopo vent’anni, mi sono reso conto che dal punto di vista culturale eravamo fermi. Poi, ad un certo punto, ho visto che c’era una nuova generazione per la quale padre Popiełuszko non era altro che una breve annotazione nel manuale di storia e ho capito che non potevo permetterlo, che era necessario tramandare la memoria di quegli uomini, di quella persona, di cui Giovanni Paolo II aveva detto: «Ha dato la vita per noi», ho capito che non potevamo dimenticare. Il Santo Padre ci aveva anche detto che dovevamo «prendere il largo» (Lc 5,4) e ho capito che il mio modo di prendere il largo era fare un film su padre Popiełuszko, farmi carico di questo, e con mia moglie abbiamo deciso di farlo da soli.

Una scena del film "Non si può uccidere la speranza"

D. Secondo lei, quali erano i tratti della sua persona che lo rendevano pericoloso per il potere?

R. Questo è un fenomeno del tutto particolare. Da parte sua non c’era nessuna aggressività, nessun radicalismo. Lui era radicale, ma nella carità. Quello che soprattutto legava le persone a lui era la sua autenticità, non imponeva niente a nessuno, sapeva ascoltare. Prendeva molto seriamente il suo essere sacerdote, in tutto quello che faceva cercava di imitare Cristo, letteralmente, si chiedeva sempre che cosa avrebbe fatto Gesù Cristo in quella situazione, e questo le persone lo sentivano, sentivano l’autenticità della sua fede. In quel periodo c’erano molti sacerdoti coraggiosi, che dicevano parole coraggiose contro il potere; padre Jerzy non si scagliava tanto contro il potere quanto contro la menzogna, contro il male. Rendeva le persone forti interiormente, cioè dava a ciascuno le ragioni radicate nel Vangelo che lo portavano a liberarsi dalla paura. Era questo che spaventava i comunisti, che la gente cominciasse a non avere più paura di loro. In tal modo padre Jerzy era così autentico che cominciò ad attirare alle sue Messe persone da tutta la Polonia; ciò che faceva muovere la gente era la sua autorità. Ci furono alcuni sacerdoti a cui i vescovi proibirono di predicare perché le loro parole avevano un contenuto politico; nel caso di padre Popiełuszko, invece, dopo un esame accurato del contenuto delle omelie, è stato dimostrato che non c’era niente che andasse al di là del Vangelo.

Josef Glemp, primate di Polonia e a quel tempo neoarcivescovo di Varsavia. Glemp nel film interpreta se stesso (nella foto sul set del film).

Sono interessanti i documenti che contengono le accuse mosse dal regime contro padre Jerzy, in cui sono citati brani delle sue omelie. Ad esempio si afferma: «Sottolinea l’inalienabile dignità dell’uomo», e nella documentazione questa frase è citata come prova a suo carico. Una cosa che oggi a noi appare ovvia, in quel periodo era considerata una provocazione politica. Quando ho chiesto ad una signora, Roma Szczepokowska, perché padre Jerzy attirasse tante persone, mi ha detto: «Profumava di Cristo». Forse è un’espressione un po’ poetica, che però esprime bene la sua eccezionalità; significa: «Viveva del Vangelo, del rapporto con Cristo». E questo vuol dire cose ben precise e concrete, significa, ad esempio, che dopo aver detto la Messa andava al comitato di aiuto agli internati e aveva ben presente di che cosa avevano bisogno le singole persone. Sapeva che in una famiglia c’era bisogno di vestitini per bambini, in un’altra di un termoforo per una persona anziana, in un’altra di medicine. E lui raccoglieva quanto era necessario per ciascuno, lo conservava in casa e quando venivano da lui, sapeva perfettamente che cosa c’era per ciascuno. E allo stesso tempo non temeva di chiamare le cose con il loro nome. Questo, forse, era il pericolo maggiore per il potere. In quegli anni diceva quello che noi oggi preferiamo dimenticare, una cosa che oggi in Europa trovo di enorme attualità: nessuna legge umana può cambiare la verità. Nessuna legge può dire che cosa è morale e che cosa no.

Il protagonista del film, Adam Biedrzycki

D. Perché le Messe per la patria erano una minaccia?

R. Proprio perché le persone dopo quelle Messe si sentivano più forti, si sentivano più unite le une alle altre, più certe che il totalitarismo in cui vivevano non era un momento definitivo, sarebbe passato, e che bisognava solo saper resistere nel modo giusto, non ci si poteva lasciare schiacciare, non si poteva perdere la propria dignità, che in ogni aspetto della vita, al lavoro come nella propria casa, bisognava cercare di non credere e non cedere alla menzogna. Sono molto interessanti alcune lettere inviate a padre Jerzy. Una di queste è di un ragazzo che si era convertito grazie alle sue Messe. Una volta, uscendo dalla chiesa, fu arrestato e tenuto in carcere per un mese, a seguito di una provocazione.

A margine bisogna ricordare che padre Jerzy chiedeva sempre di non cedere alle provocazioni, perché erano molti gli agenti segreti che si infiltravano alle Messe e cominciavano a gridare slogan politici per provocare i presenti e trasformare la Messa in manifestazione politica, come sosteneva la propaganda. A volte lo facevano in modo molto aggressivo e per questo la gente usciva dalla chiesa pregando e non cedeva alle provocazioni. I poliziotti, irritati dal fallimento delle loro provocazioni, prendevano chi capitava, lo caricavano sul cellulare e lo mettevano in prigione per il solo fatto di aver partecipato alla Messa.

Questo ragazzo che si era convertito era rimasto in prigione per un mese esatto, per cui proprio il giorno della sua scarcerazione c’era una nuova Messa per la patria. La prima cosa che questo ragazzo fece fu di andare alla Messa, e questo la dice lunga sul valore che avevano per le persone queste Messe. Davano una forza interiore tale per cui la gente non aveva più paura. Ricordiamoci che il comunismo in Polonia, in tutta l’Europa dell’Est, era fondato su due pilastri: uno era la menzogna e l’altro era la paura. E le parole di padre Jerzy li minavano entrambi.

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